Lo stato della cancellata che protegge il monumento a Ferdinando II

Un viaggio nel tempo per ritrovare il primo nucleo industriale della Penisola Italiana a Pietrarsa, ai confini tra Portici e Napoli. Decenni prima che nascessero Breda, Fiat e Ansaldo nel Regno di Napoli così bistrattato dalla storia nasceva la prima linea ferroviaria d’Italia: la Napoli-Nocera Inferiore

Lo stato della cancellata che protegge il monumento a Ferdinando II

di Benedetto Petti

Volevamo andare con il treno da Nocera a Pietrarsa, per visitare il Museo Ferroviario. Ma… per una causa tecnica sulla linea, che si protrae da diversi mesi, i treni non transitano. Con la mia macchina, che ha numerosi “Hp”, ci siamo andati lo stesso con un gruppo di amici appassionati.

Pensando ai pochi Hp posseduti dalla Vesuvio simile alla Bayard, quello splendido esemplare di macchina a vapore dal fumaiolo imponente, che tanti anni fa aveva percorso la stessa linea trascinando avveniristiche vetture, sferragliando a più non posso, impaurendo contadini e bestiame, tanto che dagli atti di allora risulta che…. “sarebbe diminuita la produzione di latte a causa della paura suscitata dal rumoroso convoglio”, ho ripercorso la storia tornando indietro di circa 170 anni.

Chissà se quel 3 ottobre 1839, per Ferdinando II, dovette rappresentare il giorno più felice della sua carriera di Re. E non tanto per l’evento storico che si compiva, e cioè l’inaugurazione della prima ferrovia d’Italia, lunga 7.411 metri, quanto per il divertimento che gli procurava l’andirivieni a bordo di quel treno Napoli–Portici, anzi Napoli–Granatello e Granatello-Napoli.

La Bayard, prima locomotiva della Napoli-Portici, ricostruita nel 1939

Quel giorno di 170 anni fa Ferdinando II se ne era andato con i suoi familiari, la sua corte e i suoi dignitari, ad attendere, fin dalla 10:30 del mattino, che l’evento si compisse.  Era stato allestito per il Re un padiglione con velluti e stendardi a villa Carrione al Granatello, dal  momento che la stazione di Napoli non era stata ancora ultimata. Alle 11 in punto bumm’, un colpo di cannone … «E’ partito!» urlò il Re. Meno di un quarto d’ora dopo il convoglio arrivò. Una sbuffante locomotiva trascinava ben 9 vetture. Come ha egregiamente e fedelmente dipinto il Fergola su quel quadro spettacolare tutt’ora esposto al museo di S. Martino di Napoli.

E su una di quelle vetture scoperte, che avrebbero potuto utilizzare solo “gli uomini con la coppola e le donne senza cappello”, ovvero il “popolino”, c’era una compagnia di soldati che dava fiato a trombe. Su un’altra una seconda compagnia che agitava bandierine e stendardi.  Ufficiali in alta uniforme sulle altre vetture pitturate in rosso ed in verde. Al centro la berlina reale, tutta di legno. Ferdinando salì a bordo. Il convoglio si mosse. Bumm’, fece il cannone. «Più veloce, … più veloce», ripeteva Ferdinando felice come una pasqua, anche se il macchinista non poteva sentirlo.

A sinistra l’autore dell’articolo, Benedetto Petti, in camicia bianca

Fu giorno di grande festa per il Re e per i Napoletani, quel 3 ottobre di circa 170 anni fa.

Con l’inaugurazione della mitica ferrovia Napoli-Portici, primo tratto di quella linea Napoli – Nocera che tramite una diramazione, raggiungeva Castellammare di Stabia e che, sempre in epoca borbonica, verrà prolungata fino a Vietri. Napoli e la Campania si conquistarono il rispetto di tutto il resto dell’Italia, inserendosi audacemente nella rivoluzione industriale e l’attestato, così come scritto dal compianto professor Ogliari, di “Terra di Primati”.

Per rendere autonomo il suo Regno dalle industrie inglesi, all’avanguardia nella costruzione delle macchine a vapore, Ferdinando II di Borbone, appena salito al trono, avviò un processo di industrializzazione di cui lo sviluppo delle strade ferrate rappresentò uno degli aspetti più salienti.  L’Officina di Pietrarsa fu voluta da Ferdinando II “perché del braccio straniero a fabbricare le macchine, mosse dal vapore, il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse/… e con l’istruzione dei giovani napoletani/ … tornasse tutta la nostra antica italiana discoverta/… questa scuola di allievi macchinisti/… Ferdinando II […] fondò”.

uno scorcio della carrozza presidenziale
Ma dove c’è un treno ci deve essere, per forza, una struttura idonea a manutenere in efficienza i meccanismi, ovvero un’officina meccanica specializzata.  Per la costruzione dei nuovo complesso venne scelta la località di Pietrarsa, anticamente detta Pietra Bianca, situata sulla riva dei mare, al confine con il comune di Portici. L’area occupata dalle officine era compresa tra il tratto ferroviario Napoli-Portici e il mare, in modo che il trasporto dei prodotti e dei materiali potesse avvenire facilmente sia da mare che da terra. Nel 1843, per volere del Re, lo stabilimento di Pietrarsa fu destinato alla costruzione delle locomotive e alla riparazione di tutti i tipi di rotabili: da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti, si sono avvicendate controverse circostanze sia di politiche industriali sia aziendali: con il risultato che, alla fine, le Officine sono state chiuse nel 1975.

Nel 1977 si è deciso di destinarle a museo ferroviario, autorizzando la ristrutturazione dei capannoni con la tecnica del “restauro con riuso conservativo” mirabilmente eseguito dalla impresa PA.CO costruzioni di Napoli.

Chi vi scrive ha avuto l’onere e l’onore di appartenere alla direzione dei lavori per conto delle Ferrovie dello Stato. Una prima sezione è stata aperta il 19 giugno 1982: praticamente tutti i rotabili allora disponibili erano concentrati nel padiglione montaggio. Si trattava esclusivamente di locomotive a vapore, “messe da parte” per uso museale già molti anni addietro (alcune avevano partecipato a celebri esposizioni degli anni Settanta, come Merano ’74). Tra il 1982 e il 1989 si è completato la seconda fase del restauro dei capannoni, con criteri progettuali senza dubbio avanzati: collegamento diretto alla linea Napoli-Salerno, piattaforme girevoli a settore per mettere in comunicazione il maggior numero possibile di binari (ovviamente con lo scopo di poter muovere facilmente i rotabili), demolizione di alcuni fabbricati non storici e realizzazione dei giardini centrali con la messa a dimora di arbusti tipici della flora mediterranea stanziale, per esaltare il fascino architettonico delle imponenti strutture tipicamente di “archeologia industriale”.

Il risultato è stato che il “contenitore” ed il “contenuto” hanno assunto per la loro importanza nella storia e per le unicità di macchine ed apparecchiature ferroviarie trasferite, una valenza internazionale. La seconda inaugurazione, quella cui fanno riferimento i documenti ufficiali, risale al 7 ottobre 1989, in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario della nascita della linea Napoli – Portici. Il Museo nel 1989 era ormai completo, con tutte le macchine che vi troviamo oggi, e la disponibilità di tutti i padiglioni: un grosso lavoro era stato infatti eseguito in vari depositi, soprattutto nel 1988/89, per restaurare magistralmente tutti i rotabili previsti.

Ma il fiore all’occhiello fu la Bayard, proveniente dal museo della scienza e tecnica di Milano, che entrò nel museo funzionante e sbuffante, trainando il treno Reale. In 25 anni, da lì non si è più mossa ad eccezione di una volta, unica ed irripetibile, che dalla Direzione generale ne fu autorizzata l’uscita, facendola arrivare trionfante nella stazione di Nocera Inferiore, grazie anche alla perseveranza del nocerino dottor Romeo Cozzitorto, dell’ ingegner Muscolino degli uffici di Roma delle Ferrovie dello Stato e del sottoscritto. Inutile dire che, rientrato in sede a Pietrarsa, il treno storico da lì non si è mosso mai più, né fu mai più utilizzato il binario di collegamento diretto alla linea da Napoli fino all’interno del Museo.

Sabato scorso mi ha fatto enorme piacere ritornare al Museo, dopo molti anni di assenza, per accompagnare degli amici, tra cui il direttore del Risorgimento Nocerino, oggi giornale on-line, servendo da guida nella visita, ma illustrando i luoghi con un’ottica diversa, avvenimenti, fatti e fatterelli conosciuti durante tutto il periodo dei lavori di restauro e rimasti indelebili nella memoria.

Tra macchinari immobili come giganti di pietra, quali gru a bandiera, torni, pialle, calandre e magli giganteschi, questi ultimi  mossi dal vapore: e non poteva essere altrimenti. In circa due ore abbiamo visitato i capannone ex Torneria e ex Macchine Utensili, nonché ex Centro Molle e ex Tubi Bollitori, ex Caldareria e per finire,  l’ex Montaggio. Mi ero riservato per ultimo la visita a quest’ultimo capannone “gigante” lato Portici, depositario del treno Reale perché posizionato all’ingresso, in modo da lasciare stupefatti i visitatori, per lo più nostalgici appassionati di vicende ferroviarie. Ma, a causa di una tromba d’aria del 21 giugno scorso, il capannone con tutto il contenuto di macchine a vapore, esemplari unici, è reso inagibile ed non visitabile per motivi di sicurezza.

il treno diesel della Fiat detto Grillo

Grande sconforto tra i visitatori che si sono dovuti accontentare di fotografare  dall’ingresso  il simulacro della Bayard, della quale si intravedeva solo il muso. Del restante treno, abbiamo visto le foto esposte. Basta,  sono deluso.  Oggi c’era il sole, ma la bomba d’acqua abbattutasi sul museo (fenomeno evidenziato da quella torretta metallica, “segnale a bandiera”, che ricordo disposta a via libera, fuori nei giardini, davanti al mare, contorta e piegata dalla forza del tornado che spirava a  più di 300 Km all’ora) mi ha angosciato. Forse voleva significare che non c’è un accenno al treno veloce “AV” e neanche una foto. Probabilmente è troppo presto per andare in quiescenza e finire nel Museo di Pietrarsa.

Un po’ di degrado c’è, ruggine sulle opere in ferro, sulle lamiere più vicine al mare, qualche tubo marcito, i tetti resi opachi dalla polvere; però poteva senz’altro andare peggio. La sola presenza del treno Presidenziale è bastata però, per lasciarci soddisfatti dalla visita. Oltretutto il personale del museo, ai quali va un cortese ringraziamento, anch’essi confusi per l’inaspettata situazione, cortesissimi e molto professionali sebbene giovani, ci hanno dato assicurazione che ad una successiva prossima nostra visita avremmo trovato TUTTO il Museo perfettamente all’altezza delle aspettative. Rimane, certo, il disappunto per tutto quello che non è stato fatto, così come si preannunziava, praticamente nulla, a parte le nuove didascalie, peraltro bilingui e precise – il ridicolo orario di apertura ed il fatto che neanche un treno sarebbe transitato almeno per qualche tempo.

Insomma oggi Ferdinando II avrebbe poco da gioire.

LA SCHEDA TECNICA

Le Officine di Napoli-Pietrarsa costituiscono il primo nucleo industriale della Penisola, avendo preceduto di numerosi anni colossi industriali quali Breda, Fiat, Ansaldo.

Per rendere autonomo il suo Regno dalle industrie inglesi all’avanguardia nella costruzione delle macchine a vapore, Ferdinando II di Borbone, appena salito al trono, avviò un processo di industrializzazione di cui lo sviluppo delle strade ferrate rappresentò uno degli aspetti salienti. Nel 1830 fu installata, a Torre Annunziata, una piccola officina per la produzione di materiale meccanico e pirotecnico ad uso della marina e dell’esercito (trivelle, macchine a vapore, affusti per cannoni, proiettili). Sette anni più tardi la piccola industria fu trasferita presso la reggia di Napoli. Lo sviluppo dell’Officina superò ogni aspettativa, al punto che sorse il problema di reperire una nuova sede più spaziosa, dove poter provvedere anche alla produzione di materiale ferroviario. Il 3 ottobre 1839, infatti, era stata inaugurata la prima tratta ferroviaria italiana Napoli-Portici lunga 7.411 metri. Il percorso venne compiuto da un convoglio trainato dalla locomotiva Vesuvio, progettata dall’ingegnere Armand Bayard de la Vingtrie su prototipo dell’inglese George Stephenson.

Per la costruzione dei nuovo complesso venne scelta la località di Pietrarsa, anticamente detta Pietra Bianca, situata sulla riva dei mare, al confine con il comune di Portici. L’area occupata dalle officine era compresa tra il tratto ferroviario Napoli-Portici e il mare, in modo che il trasporto dei prodotti e dei materiali potesse avvenire facilmente sia da mare che da terra. Nel 1843, per volere del re, lo stabilimento di Pietrarsa fu destinato alla costruzione delle locomotive e alla riparazione di tutti i tipi di rotabili della nuova ferrovia Napoli-Caserta-Capua. Il 18 maggio 1852 venne fusa nell’Opificio una colossale statua in ghisa, alta 4,50 metri, raffigurante il re Ferdinando II nell’atto di ordinare la fondazione delle officine. Si tratta di una delle più grandi statue in ghisa fuse in Italia e si trova attualmente nel piazzale del Museo.

Alla caduta del regno borbonico, nel 1860, Pietrarsa passò in gestione al Governo Italiano. Vi lavoravano 850 operai, 200 operai straordinari e 75 artiglieri con una produzione vastissima: dalle ferriere per l’affinatura della ghisa alle macchine a vapore. Nel 1861 il Governo Italiano rilevò la scarsa economicità dell’industria, con costi di produzione elevati e manodopera eccessiva. L’Opificio fu dato in gestione alla ditta Bozza che adottò una dura politica di gestione, creando forte tensione fra gli operai che degenerò causando tumulti che portarono alla morte di sette operai e il ferimento di altri venti. L’eccidio di Pietrarsa divenne un simbolo della lotta della classe operaia post-unitaria. A seguito di questi fatti, la gestione dell’Opificio fu data in concessione ventennale alla Società nazionale di Industrie meccaniche. All’Esposizione Universale di Vienna del 1873, una locomotiva per treni merci, costruita a Pietrarsa per le Ferrovie Romane, vinse la medaglia d’oro. Nonostante i riconoscimenti internazionali, tuttavia, la fabbrica rimase vittima della crisi economica per cui, nel 1875, il numero dei lavoratori fu ridotto a cento. Nel 1877, per evitare la chiusura del complesso, lo Stato decise di gestire direttamente lo Stabilimento di industrie Meccaniche di Pietrarsa e Granili. Furono costruite 110 locomotive, 845 carri, 280 vetture e varie caldaie a vapore. I rotabili costruiti a Pietrarsa furono utilizzati su tutta la rete italiana.

Il 1° luglio 1905 lo Stato italiano assunse l’esercizio diretto di tutte le linee ferroviarie del territorio nazionale, pertanto, anche delle due officine napoletane. A Pietrarsa si continuò a provvedere alla Grande Riparazione delle locomotive a vapore. Nel 1930 l’Officina fu ristrutturata in modo radicale, aumentando la produttività degli operai e abbassando, di conseguenza, i costi di riparazione; il tempo medio di riparazione di una macchina passò da 150 a 30 giorni. Con la fine della II Guerra Mondiale iniziò il declino: a causa dell’avanzare della trazione elettrica e di quella diesel, le locomotive a vapore, di anno in anno, diventavano sempre meno numerose e venivano utilizzate esclusivamente per il trasporto merci e per i servizi sussidiari.

L’ultima vaporiera a lasciare le storiche officine fu la 640.088, il 2 dicembre 1975 e ne segnò la chiusura. Dopo la chiusura, si decise di istituire il Museo Nazionale di Pietrarsa, che fu inaugurato il 7 ottobre 1989.

Il Museo si sviluppa su un’area di circa 36.000 metri quadrati, dei quali 14.000 coperti, e si articola in padiglioni e settori in cui sono esposti numerosi rotabili, modelli, plastici, macchinari e oggetti d’interesse storico.

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