“Politica, amministrazione, stati d’animo”: è questo il titolo della riflessione che il primo cittadino di Nocera Inferiore ci offre per darci la sua prospettiva dell’attuale panorama politico e del modo corretto di amministrare il pubblico interesse
di Manlio Torquato
Tra politica e amministrazione non dovrebb’esserci quasi differenza. La politica è il governo e l’organizzazione delle comunità e dei territori, della polis. Ma c’è un irriducibile “quasi” che rende i due concetti non pienamente coincidenti, non proprio la stessa cosa. Questo “quasi” potremmo chiamarlo sguardo a lungo termine, orizzonte, spirito delle cose; in una parola: visione. La politica inizia quando l’amministrazione è animata da uno spirito che non si limita alla pur difficile importante gestione (buona o cattiva) del contingente, dei problemi pratici, ma cerca di affrontarli e risolverli secondo una visione della società, dei rapporti umani, della Storia (con la S maiuscola, per dirla con Hegel). Per fare degli esempi vicini, Berlusconi e De Luca, esprimono nel governo della cosa pubblica (nazionale o locale), una politica (condivisibile o meno); Caldoro fa invece amministrazione. Renzi è ancora presto per dirlo, per ora, per lo più fa comunicazione. Ovviamente si può far bene facendo solo amministrazione e malissimo pur sforzandosi di fare politica. Tra parentesi non fanno né amministrazione né politica quei personaggi che pensano di usare cariche pubbliche per fare esclusivamente i ca..i propri, ma che cercano di spacciarsi per “politici” o paladini degli interessi dei cittadini. La politica per realizzarsi e produrre frutti visibili attraverso l’amministrazione, ha bisogno di due requisiti indefettibili: il tempo, perché per dare una direzione coerente all’attività di governo, nazionale o locale, del Paese come delle città, occorrono una serie di scelte che producono effetti solo nel lungo termine, anche attraverso una serie sapiente di azioni che devono incrociarsi tra loro passo dopo passo. Il secondo requisito, poi, è ancor più difficile da rinvenire, perché è fuori dal campo strettamente politico o amministrativo, non dipende cioè dall’operato del personale adetto, potremmo dire, dalle virtù o dall’azione di chi si impegna al governo concreto delle cose e degli uomini, non dipende cioè da politici amministratori, ma è fuori di esso. Dipende cioè dalla cultura profonda di una società, dalla sensibilità diffusa, dallo spirito di un popolo. Ma questo è un fattore esterno al campo strettamente gestionale delle cose e dei problemi. E’ una componente frutto di una stratificazione progressiva, ad onda lunga, di una comunità; è frutto dell’interazione tra tradizione, tecnologia, religione, storia… E richiede che l’amministratore sia anch’egli, personalmente, portatore di una formazione di una sensibilità che gli consenta di trasformare il suo operato amministrativo, di tutti i giorni, in azione politica, per collocare la comunità che governa in una Storia, in una visione che le dia un’identità. Tutto questo non è irrilevante. Avere una visione, cioè una politica, determinerà le scelte di governo nell’interesse della propria comunità, ad esempio nelle politiche finanziarie (più spesa pubblica o più risparmio?), nell’ urbanistica (più costruzioni per le famiglie o più tutela del territorio?), nelle priorita’ (più politiche sociali per le fasce deboli o più investimenti per creare occupazione nelle aree PIP?). E disegnerà, nel medio lungo periodo, che società, che citta’ avremo. Come staremo insieme. La sensazione, e perciò il richiamo alla riflessione denominata “METAFORE”, pubblicata tempo fa, è che però all’oggi diventi estremamente difficile, se non impossibile, tradurre l’azione amministrativa in una politica, pur che sia. Vi è una sorta d’impazienza, d’insoddisfazione cronica, di lamentazione senza obiettivi, un attardarsi esclusivamente su numeri e cose, totalmente privo di “slanci, speranze, tragedie”; quell’essenza imprescindibile perché un’esistenza, individuale o collettiva, acquisti un senso. E’ la metafora del naufragio della nave Concordia, quella che purtroppo ci descrive meglio. Gli stati d’animo, spesso i più volubili, superficiali, estemporanei, lamentevoli, sembrano aver sostituito nell’esperienza diffusa, la coscienza collettiva di un Paese, delle nostre comunità. C’è ancora modo di venirne fuori, a patto di dare una visione alle scelte che si compiono, di sentire che la comunità che si governa abbia ancora voglia e senso nell’essere tale.