«Gigi, spiegami una cosa – mi ha chiesto Vincenzo, caro amico ormai da oltre 30 anni – ma perché tra tante testate hai pensato di dedicarti proprio al Risorgimento Nocerino?»
Domanda più che giusta, caro Vincenzo, che merita una dettagliata quanto semplice risposta: questioni di “famiglia”…
Era il 1922, circa, e il Risorgimento Nocerino stava cercando di conquistarsi una bella fetta di notorietà cittadina grazie all’impegno del suo fondatore, il cavalier Giovanni Zoppi. Ma non sempre le cose andavano per il verso giusto, e la pubblicità, che insieme agli abbonamenti avrebbe dovuto consentire alla testata di sopravvivere, non era sempre sufficiente a garantire una continuità nelle uscite.
In quel tempo stava cercando una strada per il suo futuro un giovane, nocerino di adozione e dal nome di battesimo non comune, Emanuello Ricciardi. Appassionato anche lui di giornalismo, ebbe modo di conoscere Giovanni Zoppi, e, in men che non si dica, lui, che aveva il commercio nel sangue, diventò un ottimo procacciatore di pubblicità per il giornale, permettendo, con i frutti del suo intenso lavoro, di farlo definitivamente decollare grazie ad una raggiunta solidità economica.
Nel 1927 quel giovane sposò una bella signorina di Nocera, che abitava nello storico quartiere del Vescovado: Anna Contursi. Di lì a poco l’amore per il progetto “Risorgimento Nocerino” fu vinto da quello per la bella Anna, e i due partirono per Montecarlo dove lui prima iniziò a vendere – con buon successo – pasta italiana, e poi avviò l’attività di intermediazione nella vendita di ricambi auto che tutt’oggi un suo nipote e un suo pronipote svolgono. Ma intanto il giornale era ormai decollato e da allora i clienti pubblicitari non mancarono più, consentendo alla testata una “bella vita”. Inutile, ovviamente, evidenziare la gratitudine che Giovanni Zoppi ebbe per lunghi anni per quel giovane amico grazie al quale il Risorgimento Nocerino aveva conosciuto la stabilità economica.
Quella bella signorina che Emanuello sposò, Anna Contursi, classe 1905, era la mia prozia, sorella di mia nonna. Ed evidentemente, zio “Manuele”, come lo chiamavano i nipoti compresa mia mamma, deve aver lasciato in giro qualche virus. Il desiderio di far rinascere quel bel progetto, infatti, mi è venuto ancor prima che conoscessi questa storia dal nipote Ciro Palumbo, oggi quasi ottantenne, che ha ereditato l’attività di “zio Manuele” e l’ha, a sua volta, trasmessa al figlio.