«Rossi come la vergogna del derby farsa, neri come i fondi usati dal patron per evadere il fisco». Così sono descritti i tifosi della Nocerina attraverso una “reinterpretazione” dei colori sociali della squadra in uno degli articoli di “Repubblica” del 10 gennaio 2014.
Il peggiore, però, quello che infanga non la reputazione di pochi tifosi, facinorosi e violenti se volete, ma l’intera città, i tifosi sani, i cittadini che di calcio non ne sanno e non vogliono saperne nulla, quelli che la mattina si alzano per lavorare e la domenica stanno a casa in famiglia è un altro: quello di Attilio Bolzoni, ottimo giornalista di rispettabilissima carriera, venuto evidentemente a Nocera con l’unico intento di realizzare un pezzo che mettesse in cattiva luce la città. Quella dei “duecento picchiatori violentissimi” sempre al seguito della Nocerina, per intenderci. Quella che presumibilmente di qui a pochi giorni vedrà radiata la squadra, “perché ci vuole tolleranza zero”, ha detto il presidente Letta.
Caro Attilio, siamo ricaduti, e tu hai contribuito, volontariamente o meno, nelle grandi polemiche che vivemmo in questa città quando nelle sale cittadine arrivò “C’eravamo tanto amati” di Scola. Tu stesso lo ricordi: nel film c’è un giovane Stefano Satta Flores che interpreta un tal professor Palumbo. Ebbene, questi, nell’aula magna del glorioso “Giovan Battista Vico”, fucina di mille menti geniali che hanno arricchito Nocera ma, prima di essa, l’Italia e il mondo, disse rivolgendosi, come scrivi, “ai notabili di questa capitale campana che già batteva moneta quando l’odiato capoluogo di provincia Salerno era ancora un borgo marinaro sconosciuto alle mappe”, che Nocera era “Inferiore per colpa vostra”, dei notabili ignoranti e reazionari che gli si paravano di fronte.
Ma allora, caro Attilio, il contesto era diverso. Oggi si gioca davvero con la dignità e l’immagine della città, che hai messo sotto i piedi. Anche quando scrivi che abbiamo un sindaco di destra con una vice di sinistra.
Mi scrivi «Mi dispiace, Gigi, era un articolo sul tifo con la città sullo sfondo».
E io ti rispondo non con parole mie, ma con quelle della città: con quelle del sindaco Manlio Torquato, che mi scrive «Non me lo dire, è una vergogna».
Continuo con quelle di alcuni colleghi, come Carlo Meoli de “La Città”: «Questo pezzo fa proprio schifo»; quelle di Salvatore D’Angelo della stessa testata: «Chiaro esempio di parzialità, di come si può essere crudeli e sparasentenze preconcetti… a Nocera qualche problema c’è, ma non è certo dipingendo in questo modo due città in una che si risolvono… questo articolo deve servire a me, giovane giornalista, come esempio per non cadere in facili generalizzazioni… speriamo ci riesca»; quelle di un cittadino, Giancarlo Di Serio: «A parte i giudizi personali dell’autore, contiene delle falsità oggettive. Ad esempio la frase di Prandelli che ha lasciato amareggiati non è quella ovvietà riportata tra virgolette ma un’altra ben più pesante»; quelle di un’altra cittadina, Adele Tirelli: «Che vergogna, certi giornalisti….ops mi fermo!».
Potrei continuare a lungo, ma penso che basti così. Carissimo Attilio: Napoli non è solo pizza, mandolino e tarantella; la Sicilia da cui provieni non è solo mafia ma anche culla di civiltà e grandi tradizioni; Nocera, infine, non è solo calcio e violenza, e da ex città industriale che era fino alla fine degli anni ’70 si è saputa parzialmente riciclare nel terziario e nei servizi ed essere ancora, in alcuni casi, un punto di riferimento in Italia. Molto c’è ancora da fare, ma se ci prendete a calci negli stinchi non ce la faremo mai a rialzarci.